LA PRIMA PIETRA


di Giovanni Calendoli 

Gli operatori della scena italiana nel periodo incandescente (e traumatico) dell'immediato dopoguerra furono ossessionati dalla voglia di far conoscere il repertorio straniero, che non aveva potuto varcare la frontiera prima per la politica nazionalista del Ventennio e poi per gli eventi bellici. Più o meno esplicitamente la colpa di questa mancata conoscenza fu attribuita almeno in parte ai commediografi italiani, i quali avrebbero approfittato della situazione per espandersi oltre i propri meriti a danno della cultura e degli stranieri. Pertanto con una tacita intesa furono messi praticamente al bando, appunto per avere lucrato " profitti di regime".
Allora, considerato anche il clima politico del momento, Luigi Chiarelli, che era presidente della Società italiana degli Autori drammatici - sodalizio di carattere eminentemente artistico -, ideò la creazione di un sindacato, ritenendolo uno strumento più adatto ad una difesa degli scrittori teatrali: difesa dei loro interessi e della loro dignità civica.

Così il 3 settembre 1945 fu fondato il Sindacato nazionale degli Autori drammatici nella Biblioteca del Burcardo, che era la sede della Società italiana degli Autori drammatici, per sottolineare inequivocabilmente la concorde complementarietà dei due enti.

Per ragioni contingenti il convegno ebbe la presenza nettamente prevalente di scrittori residenti a Roma; ma tutte le generazioni - da quella dei grandi veterani (Luigi Chiarelli, Massimo Bontempelli...) a quella intermedia ancora in ascesa (Ugo Betti, Mario Federici...), a quella dei giovani (Diego Fabbri, Franco Monicelli...) - vi furono rappresentate con un'autorità, che i decenni successivi non hanno smentita, ma confermata ed ampliata.

Presidente del nuovo sindacato fu eletto all'unanimità Guglielmo Zorzi, che era a ragione rispettato da tutti i suoi colleghi come un " padre nobile", non solo perché già nel 1919 (in epoca quindi non sospetta) aveva ottenuto un clamoroso successo in Italia e all'estero con La vena d'oro, ma anche perché era stato applaudito regista teatrale e cinematografico cioè fortunato operatore.

Pur possedendo i più validi titoli di credito, il Sindacato ebbe fin dall'inizio una vita irta di ostacoli e di incomprensioni e soltanto due anni dopo, nel 1947, poté registrare un primo risultato, quando un comunicato ufficiale forniva il seguente annuncio, che, dati gli umori imperanti nei retroscena, apparve quasi eversivo: " Il Servizio per il Teatro della Presidenza del Consiglio dei Ministri, allo scopo di facilitare la ripresa del teatro italiano di prosa, ha stabilito di accordare dei premi alle compagnie che mettano in scena nuove opere di autori italiani, a titolo di contributo finanziario per l'allestimento dei lavori medesimi. Le richieste d'informazioni debbono essere rivolte alla direzione del Servizio per il Teatro (Via Veneto 56, piano III) "

Per documentare l' atmosfera di rifiuto nella quale cadeva questo primo blando e generico provvedimento a favore della drammaturgia italiana provocato dal Sindacato, non posso non citare alcune frasi del corsivo, con il quale io, che ero critico teatrale del quotidiano romano "La Repubblica" ed autore agli esordi, commentai il comunicato:

"La notizia diramata dall' Ansa potrebbe persino suscitare un'impressione lievemente caricaturale: la rappresentazione di nuove - ed anche vecchie...- commedie italiane è ormai divenuta impresa di tal rischio che il solo fatto di tentarla rende meritevoli di un premio gli ardimentosi... Esclusa ogni considerazione di carattere nazionalistico, che sarebbe in se estranea ai vari interessi dell'arte, non si può non rilevare come da qualche tempo attori e pubblico sembrino coalizzati nel varo delle più frustre riprese e delle più inconsistenti novità straniere, pur di non rendere il minimo onore al repertorio italiano..." ("La Repubblica", 12 febbraio 1947).

Dopo mezzo secolo il traguardo ideale, che Luigi Chiarelli in cuor suo si proponeva di raggiungere con la fondazione del Sindacato, è senza dubbio meno lontano; ma non nascondiamoci che una lunga strada rimane ancora da percorrere e un impegno anzitutto culturale ci richiede di percorrerla fino in fondo.

Purtroppo non sono bastati cinquanta anni a dissolvere interamente l' aura non benevola creatasi dopo la conclusione della guerra nei confronti degli scrittori teatrali. In parole povere la scena italiana non riesce ancora a riconoscersi con convinzione nella propria letteratura drammatica nazionale di oggi e di ieri: si piega soltanto dinanzi a Luigi Pirandello, perché non può evitarlo su un piano internazionale; ma mal sopporta persino Carlo Goldoni, come le recenti celebrazioni hanno palesemente dimostrato. Gli operatori pubblici e privati della nostra scena debbono convincersi che gli autori drammatici italiani, prima ancora di tutelare i propri interessi di bottega, sostengono una questione di identità nazionale. Ci auguriamo, come italiani, che nell'attesa non passi un altro mezzo secolo.

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