" Tutto il mio amore volevo darti" di Carlangelo Scillamà Rec. di V. Sanfilippo



MESSINSCENA DELL'ARTEFATTO ("TUTTO IL MIO AMORE VOLEVO DARTI" DI C.SCILLAMÀ)
Scritto da Vincenzo Sanfilippo

L’’instabile lievitazione drammaturgica di un delirio “noir” descrive i campi magnetici dell’attesa e dell’incontro, percorsi con ambiguità sul filo orrido d’una lucente lama d’acciaio sporcata di sangue. Che è segno premonitore del sogno e della follia che sembra rilevare un avvenuto misfatto, nell’atmosfera sordida di un soggiorno. “Tutto il mio amore volevo darti” di Carlangelo Scillamà è la metafora di una esoterica, artigianale messinscena dell’artefatto, dove il demone dell’ “analogia” rimanda all’eros che si intensifica in dramma, simile ad un tragico balletto di nevrosi sullo sfondo del volgere quotidiano del rapporto di coppia.

La recitazione tanto umbratile quanto misurata di Monica Menchi, satura di inquietanti traslati, lascia intendere rimozioni profonde, elabora il brivido dell’automatismo gestuale calibrato di segni “insanguinati”, anche attraverso la parola “convulsiva” caratterizzata dal turbamento psicologico, come fosse un’increspatura di vento alle tempie della follia. E’ l’autore ci propone in questo intrigante atto unico, saturo di sfumature psicologiche, il fondo del grogiolo umano, il segno della mitografia femminile colma di referenti onirici che germinano incosciamente in quella geografia paradossale del rapporto ancestrale donna-uomo. Tale rapporto non come polo di equilibri, ma come dissoluzione, in chiave di allusiva alienazione, degradante nell’andamento “analogico” di un gesto semantico, inequivocabilmente sanzionato come fantasia onirica.

La cifra stilistica di natura neo-espressionista dell’allestimento (quale sinonimo di sintesi espressiva) adottata dal regista Gabriele Tozzi, dà fisionomia ad un’aberrazione umana e d’ambiente. Essa si riassume nella duplicità sintomatica di quella donna frustrata nelle sue aspirazioni non realizzate, succube di celate repulsioni, sommersa nell’ imperturbabilità di progetti assassini nei confronti del marito. Messaggio di una “situazione” entro la quale il senso dell’angoscia si manifesta traslato e corrispettivo di un humour sottile e, dunque, proprio nell’umorismo nero, trova il suo sviluppo. Suggestioni di un inconscio che, come dubitava Freud, cede volentieri il passo alla “simulazione” di una amara caricatura donde traspare, comunque, il “senso” agitato di una casalinga tesa alla spasmodica ricerca di un estremo colloquio con il suo uomo.
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