su "Un Eroe" di Carlangelo Scillamà da V. Sanfilippo


Rivista INSCENA online. Recensione di Vincenzo Sanfilippo.

UN EROE di Carlangelo Scillamà

Interpretazione e regia di Monica Menchi.

Teatro Tordinona 4-5-6- Maggio

Produzione: Snad

Rassegna Schegge d’autore. 2007 Spettacolo fuori concorso. Segnalato dalla critica.

Roma. Il punto di focalizzazione d’un dramma contemporaneo che possa conservare i tratti della riflessione morale della tragedia ellenica è stato riproposto da Carlangelo Scillamà nel suo testo “Un eroe”, dove affiora il dramma profondamente umano del mito e della leggenda che si rinnova agli occhi di chi nelle cronache della contemporaneità riesce ad intravedere il nostro patrimonio ionico-calcidico della Sicilia orientale.

E sappiamo che Scillama è originario di Caltagirone, colonia greca di dominio nell’interno dell’isola, dove si professava il culto dell’Ares greco, giunto a noi come ricorrenza dei defunti, ma anticamente come eroi siculi ellenizzati, ovvero anche eroi ed eroine greci penetrati nel patrimonio mitico e religioso del popolo di Sicilia che davano appunto l’idea della difesa e della protezione.

Queste le coordinate concettuali di approccio al suo testo costituito da una figura femminile che racconta del suo eroe non più tornato da un fronte di guerra, verosimile cronaca contemporanea.

In scena, non vediamo l’eroe, l’uomo che si è immolato andando incontro al sacrificio di sé per la patria, ma c’è, in stato di avanzata gravidanza, la sua umanissima donna distrutta dall’evento esistenziale che l’ha colpita. Racconta del marito evocandone amorosamente il carattere come per riappropriarsi delle spoglie che non gli appartengono più, in quanto egli, eroe decorato, ormai appartiene allo Stato.

Lo spettacolo, di grande compattezza speculativa, molto ben interpretato da Monica Menchi che cura anche la regia, raggiunge livelli di grande pathos teatrale quando afflitta per la morte del marito la donna parla al figlio che porta in grembo. Il suo è un soliloquio lancinante, composto, ma che per lo strazio porterà all’aborto. In quel preciso istante l’umanità dei mortali ha il sopravvento sul mondo soprannaturale. L’attrice in una mescolanza recitativa fatta di chiaroscuri, distingue il vero bene nel ricordo suscettibile di trasformazioni mutevoli trasferiti nel divenire d’un dolore misto al piacere dell’attesa della gravidanza.

Ma la sua afflizione è critica, è di dolente rabbia: “quanto sei stato eroe a lasciarmi qui da sola ! Mi hanno dato una medaglia, sai.., una medaglia, in un astuccio nero infilato a forza fra le mani- spuntata fra mille occhi, fra mille sguardi che volevano essere muti e comprensivi e invece cercavano solo curiosi il mio dolore e non mi sapevano dire nulla e non riuscivano nemmeno a capire.”

Un frasario di colloquio-soliloquio di heros metafisico raggelato nell’illimitato thanathos, non può accogliere il bene del nascituro che vi è compreso. Un prezioso testo che pone un dualismo inconciliabile, tra le idee tradizionali del mito dell’eroe e il mondo transitorio della contemporaneità che da esso dovrebbe trarre caratteri. Si viene dunque affermando, come scrittura scenica, la conoscenza delle cause che determinano l’esistenza con la sua varietà di sentimenti e di pensieri, dove si mescolano il dolore, il bisogno e il piacere, ovvero la soddisfazione del bisogno stesso di vita.

7 maggio ’07 Vincenzo Sanfilippo
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